Tre gesuiti descrivono fatti di lingua e cultura della Sardegna settecentesca: Francesco Cetti (1726 - 1778), Matteo Madao (1733 - 1800), Antonio Bresciani (1798 - 1862)
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Palavras-chave

Lingua sarda
dialetti
metalinguistica
normativizzazione linguistica
accabadora

Resumo

In questo articolo si vuole dimostrare (al cap. 1) che la percezione di una bipartizione dell’area linguistica sarda in due macrovarietà (indicate nei tempi moderni - andando da nord a sud - come logudorese e campidanese, delle quali la prima godrebbe di maggior prestigio) ha alle spalle una tradizione colta che risale per lo meno alla metà del Cinquecento. Nella dimostrazione si utilizzano soprattutto opere cartografiche e loro commenti. Il secondo argomento (cap. 2) è relativo a procedimenti di emancipazione e di standardizzazione di una macrolingua quale il sardo, così come auspicati nella prima grammatica elaborata, alla fine del Settecento, da Matteo Madao; egli suggerisce una certa scelta che sarà portata al rango di auspicata ufficialità nel secolo XXI. Nell’ultima parte (cap. 3) si affronta l’analisi di testimonianze registrate per iscritto nella prima metà dell’Ottocento, relative all’esistenza e al modus operandi della leggendaria accabadora, le quali - andando a ritroso, di racconto in racconto - si possono far risalire alla seconda metà del XVIII secolo. I tre autori appartengono ai più importanti intellettuali sardi/italiani sette-ottocenteschi che hanno studiato la Sardegna da molteplici punti di vista.

https://doi.org/10.7770/cuhso-v35n1-art697
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